92. Millenni luce

Oggi sento lo strazio della tua lontananza,
penetra tutte le cose della terra,
prende svariate forme nei monti e nei giardini,
pervade il cielo ed il mare.
Tutte le notti, immobili in silenzio
gli occhi delle stelle,
nel piovoso luglio il bisbiglio di infinite foglie
dicono che Tu sei lontano.

In casa la profonda nostalgia di Te
si diffonde nelle sofferenze,
negli affetti e nei desideri,
nelle gioie e nei dolori.

Rabindranath Tagore

(Quando le parole non bastano)

79. Lentamente

 

Dopo un po’ comprenderai la sottile differenza fra stringere una mano e incatenare un’anima, e comprenderai che amore non significa dipendenza e che compagnia non significa sicurezza. Incomincerai a comprendere che i baci non sono contratti e i doni non sono promesse, e incomincerai ad accettare le sconfitte a testa alta e con gli occhi bene aperti, con la compostezza di un adulto e non con il dolore di un bimbo, e imparerai a tracciare la strada sull’oggi, perché il terreno del domani è troppo incerto per essere pianificato. Dopo un po’ comprenderai che perfino il sole può bruciare se ne prendi troppo. 

Allora cura il tuo giardino e abbellisci la tua anima senza aspettare che qualcuno ti regali dei fiori. 

E imparerai che puoi veramente farcela… Che sei veramente forte, e che tu vali veramente molto.

 

V.A. Shoffstall  

78. Annaspando

Urlano i piccoli silenzi

più del silenzio della montagna,

giungono negli spazi siderali

più potenti di un grido:

i perdoni non concessi

i conforti negati

la scomparsa di un bimbo

i dolori sepolti

i segreti sepolti.

E ruotano intorno alle nostre vite,

neri satelliti che cerchiamo d’ignorare.

 

Anna Maria Angelini Chiarvetto – Piccoli silenzi

77. Murature d’esistenza

E’ qui che dovremmo vivere

nascosti

tra le gradazioni del verde


qui dove le case cadono

a pezzi, i cani ringhiano

prima dei temporali

e i gatti si gettano dai tetti

con un tonfo che ci sveglia

nel cuore della notte.


Nei fine settimana

cancelliamo i nomi di tutte le vie

per inventarci una vita diversa,

e fingere di incontrarci

per caso ad ogni svolta,

ogni incrocio


come gente appena tornata

da chissà quale paese,

gente che non si vedeva

da anni,


che chiede come stanno

anche i parenti più

lontani

 

Agostino Cornali – Questo spazio può essere nostro

 

Leggevo queste parole poco fa, durante il pranzo, in uno di quei giorni a radio spenta per acquietare l’animo e ritrovare il silenzio. Vagando scalza fra stanze di legno ed ovatta, in questa enorme casa che non è mai abbastanza. Dove le finestre filtrano troppo la luce, le intercapedini non sanno isolare e lo scrosciare dell’acqua nei tubi fischia l’inizio della quotidiana battaglia. E’ in luoghi come questo che ti rendi conto di come le cose restino semplici cose, quando non si prova gratitudine e non se ne sa godere, e realizzi che non te ne fai niente del giardino se non puoi calpestarlo indisturbato, che non c’è divertimento a tuffarsi nell’acqua badando che il cloro non bruci l’erba… Piccoli frangenti di vita comune, in cui ampie metrature si trasformano in murature, e si gioca un po’ al gatto e al topo o guardie e ladri, gli uni intenti a ergere le proprie barriere, gli altri imperterriti nell’oltrepassarle.

Così m’interrogo, mentre mi ascolto: se non è questo che vuoi te ne puoi sempre andare. E pronta rispondo che andarmene non è quello che voglio, io qui sto bene, la casa mi piace. E poi un altro trasloco, con quello che comporta, proprio ora che germoglio radici, potrei non sopportarlo. Le cose van meglio, queste pareti le sento sempre più mie, e quando alla sera Lui torna è tutta un’altra storia. E’ come se all’improvviso arrivasse il weekend e "cancellassimo il nome di tutte le vie per inventarci una vita diversa". Solo che nel mezzo, in quell’eterno e insipido mezzo, cosa faccio? Le mie abitudini le sto ricostruendo pian piano e dopo pochi mesi sono già a buon punto, ma non posso continuare a riempire ogni attimo solo per sfuggire a ciò che poi si rivela inesorabile, non posso passare fuori le mie giornate perché in casa non trovo pace.

Credevo che la mia idea fosse un buon punto di partenza, venirsi incontro con moderata ma sentita condivisione. Solo che forse dall’altra parte non è così che si ragiona: la condivisione resta formale e viene imposta, e l’età e la malattia diventano buoni pretesti per esigere e non ascoltare. Ma io e la formalità non siamo mai andate d’accordo, almeno non tra le mura domestiche, perché per me casa è libertà, quiete, riposo. Poi fuori posso giocare con qualsiasi facciata, montare e smontare le circostanze come fossero prefabbricati, ma dentro casa no, non sarebbe vita.

Così, per ora proseguo indossando il miglior viso a seconda del gioco, ma in fondo allo stomaco resta sempre una punta d’amaro nel vedere la stima sgretolarsi giorno dopo giorno. E un po’ mi arrabbio per le notti nervose, che passano mulinando gli stessi sogni e gli stessi pensieri, impastati con la sensazione di maledetta incombenza che non mi lascia sola nemmeno a volerlo. Un po’ mi rimbrotto perché sono la solita, che prende la cose troppo a cuore e non riesce mai a scrollarsele dalle spalle, che non sa buttar giù il telefono o chiudere la porta a metà conversazione, anche quando chi è all’altro capo usa l’incuranza come soldo contante. E poi mi sgrido perché infondo so che se recalcitrassi meno e non ponessi questioni, sarei già a metà dell’opera. Ma non ce la faccio e salto su come una iena quando si viene a ficcare il naso nella mia tana, e questo evidentemente per me basta a generare intolleranza. In fin dei conti non ho tutti i torti, di questo sono sicura.

Mi spiace solo che l’oggetto di tanta insofferenza siano delle persone per Lui importanti, i suoi genitori, e spesso sono convinta che l’errore sia stato anche suo, nel non fare sufficientemente da cuscinetto. Voglio dire, anche i miei hanno le loro fisime, ma non mi sognerei mai di lasciare qualcun altro in loro completa balia. E non si sognino di trattarmi come fossi loro figlia, perché non ne hanno il diritto e, sarò pur di docile apparenza, ma i piedi in testa non me li hanno mai messi nemmeno i miei. Che diavolo di genitorialità è parlare in tono coercitivo e verbi all’infinito, nei confronti di un figlio che al contrario indulge e cerca d’essere comprensivo? Forse non posso capire semplicemente perché veniamo da famiglie molto diverse e comunque non ho il diritto di dire quale sia la migliore e quale la peggiore. Sta di fatto che i cordoni mal recisi non mi sono mai piaciuti e sarà per questo che, ogni tanto, provo quasi un po’ di sollievo nell’aprire alcune stanze e vedere alcuni degli scatoloni del trasloco, quei pochi rimasti, che aspettano ancora di essere sistemati.

 

Post scriptum

 

A onor del vero, l’amato vero di cui faccio sempre bandiera (o almeno ci provo), credo sia giusto aggiungere che in questa situazione non è tutto nero, come forse si potrebbe pensare. Ci sono anche il bianco e mille sprazzi di colore, ci sono aspetti positivi, momenti di gioia e slanci di sincero affetto. Affetto forse troppo morboso e invadente per i miei gusti, ma ringraziamo il cielo che ci sia.

E poi, per amor di cronaca, giusto per dare un senso all’incipit poetico, mi pare doveroso completare il dipinto e renderne in toto ciò che avevo in mente. In un momento contro e introverso come questo, le riflessioni postprandiali mi hanno portata a ricoprire di tinte scure anche la sfera di coppia, quella vera, che riguarda me e Lui, genitori esclusi. Eccomi, allora, accusare le quotidiane assenze per impegni, il ritardo da un lavoro fagocitante, la stanchezza serale che non da spazio all’intimità e all’intensità che vorremmo, il tempo che scandisce i nostri giorni senza spesso renderci giustizia… Come non ritrovarmi, dunque, nella sensazione d’evasione che aleggia fra le righe di questa poesia, in qualche modo ritratto della settimana tipo.

Riflettevo appunto su tutto questo, persa nei vorticosi giri del pessimismo cosmico, quando dalla finestra ha irrotto un assordante concerto di clacson fermi al semaforo. Infastidita, mi sono chiesta che diavolo avessero da suonare, in uno stupido giorno infrasettimanale che vede l’Italia ormai lontana dai campi di calcio del Sud Africa… Alla fine, sconfitta la pigrizia che mi teneva incollata alla sedia, è stata una bella sorpresa far capolino dal tetto e vedere in testa alle auto in coda una coppia di sposi a cavalcioni di una vespa. Quasi un segno del cielo, una carezza dell’estate, che dolcemente mi ha riportata al pensiero di noi, al nostro amore, alla felicità, al desiderio di un futuro non troppo lontano.

Depongo così l’ascia di guerra e la lascio sul tetto, almeno per oggi. Guastarsi l’umore decisamente non vale. Finché si è in due ci si sceglie ogni giorno e non solo nei weekend, farei bene a ricordarlo più spesso. Per cui oggi e giovedì e ho tutte la ragioni per mettermela via, corrergli incontro e tornare a sorridere.

76. Quotidiane attese

Il tuo bacio il lunedì mattina 

è una bolla di sapone, 

mi sfiora lieve le labbra 

e in un attimo fugge via. 

Tutto ciò che ne rimane 

è la sensazione di sogno infranto, 

di occasione mancata.

Il lunedì mattina il tuo bacio

è l’euforia di colori sulle ali di una farfalla.

E’ la discesa dopo la gioia estrema, 

la giostra che si ferma, 

il ritorno da una vacanza. 

E’ la sabbia che l’onda non riesce a lambire, 

l’arrivederci grave un po’ come un addio, 

la malinconia più bella, 

la ragione della mia follia e della mia speranza.

Il nostro bacio il lunedì mattina è una promessa: 

tornerò da te, aking mahal.

74. Primo giugno

Cavalcherò il vento

le burrasche e i marosi,

sarò il tuo ponte per l’eternità.


Da dentro e fuori non avrò segreti

se non per stuzzicare la tua vanità.


Sarò il futuro dei tuoi sogni,

la vita tua che continuerà,

nella mia carne metterai radici:


saranno la nostra immortalità

e tra centanni gli occhi tuoi felici

rideranno ancora nel viso di bambini

coi miei capelli e la mia mutabilità.

 

Anna Maria Angelini Chiarvetto – Mi vuoi?

68. Sospesa

Seduta sui fili d’erba di una collina. Dopo tanto vagare sentivo il bisogno di fermarmi, per ascoltare il rumore del vento e guardarmi da dietro come parte del tutto. E, inevitabile, parte la mente con i suoi bilanci, chiedendo risposta a cose che non so spiegare, con la pretesa di quantificare i passi in granelli di sabbia. Il cuore risponde e subito scalpita: che bisogno c’è di mettersi a contare? Perché bisogna rincorrerli i pensieri e mai lasciarli andare? Io sto nel mezzo e, senza parole, cerco a fatica il giusto accordo. In silenzioso ascolto continuo a curare i germogli nel mio orto, un po’ stanca, un po’ affranta, ma comunque fiduciosa che, come mi disse più volte un angelo, non c’è preghiera che non venga esaudita.

Perciò proseguo in attesa, e nel frattempo mi leggo, correggo e rilancio…

 

Lieve sopravvive la speranza, alimentata dalla convinzione, che prima o poi ogni cosa riprenda una forma, che le abitudini ritrovino un posto.

Vorrei trovare le giuste parole per spiegare, annodarle con un fiocco e fargliene dono. Ma per ora continuerò a perdermi nel mondo. Così tanta bellezza intorno…

Se solo trovassi le risposte, la giusta soluzione ai miei paradossi.

E intanto ho capito che la perfezione non esiste.

Esistono mille abbracci, infiniti incastri e altrettanti racconti.

 

64. Teardrop

C’è un preciso istante, chiamiamolo etere,

in cui il silenzio si posa e gli occhi si trovano.

E’ un intreccio muto di gesti lenti

in cui siamo tatto e fiuto senza guinzaglio.

Ogni volta che questo etereo accade

prego che, almeno lo sguardo, sappia porgere

le parole che il cuor non può rendere,

la favola che le labbra non osano narrare.

 

Attraversi gli atri e inondi i ventricoli,

sei sistole, diastole e sincope.

Ad ogni tuo palpito, il mio petto si libra

e il solo modo per poterlo raccontare

è l’arcobaleno che sgorga

e riga gote e pagine di tutti i miei giorni.

Sei l’inspiegabile che diventa emozione

l’insostenibile gaiezza della vita che scorre.

 

E’ così che nasce e dentro ci sei tu,

in tutto quel che c’è prima, durante e dopo:

 

rapsodia di una lacrima.